L’aumentato uso di dispositivi tecnologici ha fatto emergere una serie di problemi latenti, cioè che già esistevano ma sottotraccia. È il caso dei disturbi visivi causati dalla luce blu emessa dagli schermi di computer, tablet, smartphone, televisori.
La sindrome da visione al computer è l’ultima evoluzione di una patologia identificata nel 1947 come stress visivo prossimale, legato alla prolungata attenzione richiesta a distanza ravvicinata dalle attività cognitive e lavorative e sfociata poi nell’affaticamento visivo digitale. Gli effetti non investono solo l’aspetto visivo: vanno dal bruciore degli occhi alle difficoltà di concentrazione, dalla rigidità del collo al mal di testa, fino ai disturbi del sonno.
Succede perché una parte di questa luce blu è nociva e va filtrata: la tecnologia risolve il problema con l’utilizzo di lenti apposite. Per esempio le lenti con supporto accomodativo filtranti per la luce blu e trattamenti antiriflesso specifici, tecnicamente identificate come Mono Plus 2, compensano la sollecitazione visiva dei dispositivi digitali e rilassano i muscoli dell’occhio. Servono non solo agli adulti vicini alla presbiopia, ma anche ai giovani, per rallentare l’insorgenza della miopia e ridurre lo sforzo di una messa a fuoco vicina. E coprono tutte le distanze, perciò possono essere utilizzate in ogni momento della giornata. Sono utili anche nel caso di soggetti senza difetti visivi, che possono proteggere gli occhi dalla luce blu con lenti filtranti neutre montate su occhiali già pronti a costi accessibili. È importante che le lenti siano realmente filtranti: i trattamenti superficiali non filtrano la luce ma intervengono solo sul lato anteriore della lente.
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